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Intervista con Barbara Davidson

Per il centenario di Leica, Barbara Davidson entra in dialogo fotografico con il leggendario fotografo di strada Joel Meyerowitz. Le opere dei due artisti sono in esposizione dal 20 febbraio presso la galleria Leica di Los Angeles.

Prosegue nelle gallerie Leica la serie dedicata al centenario con un accostamento di grande sensibilità: nella galleria di Los Angeles le immagini catturate da Barbara Davidson incontrano la fotografia di strada di Joel Meyerowitz degli anni sessanta e settanta. Davidson, famosa per la sua fotografia documentaria di forte impatto, porta la narrazione fino al presente. I suoi scatti, realizzati a partire dal 2020, mostrano un’America in subbuglio, dando vita così a un dialogo che racconta cinquant’anni di street photography americana.

Leica: Cent’anni di fotografia - lei cosa ne pensa?

Barbara Davidson: Questo centenario invita tutti noi a celebrare e rendere omaggio a un archivio fotografico incredibile, che raccoglie gli scatti di alcuni dei più grandi fotografi al mondo, e a immergerci nella ricca narrazione visiva del mondo nata nell’ultimo secolo. Ci offre l’occasione di fermarci a riflettere e confrontarci con una retrospettiva di opere realizzate nei punti focali della storia.

Quale influenza hanno avuto sul suo lavoro le opere degli artisti insigniti del premio Leica Hall of Fame?

Il fotografo vincitore del Leica Hall of Fame che più di tutti ha influenzato la mia fotografia è Henri Cartier-Bresson, il padre del fotogiornalismo. Mi sono innamorata del genere del reportage fotografico dopo aver studiato le sue opere nei miei primi anni da fotografa. Volevo che il mio lavoro trasmettesse il concetto del “momento decisivo”, fondamentale per una buona fotografia, dopo averlo visto realizzato in modo tanto sublime nei suoi scatti.

Le mie fotografie vogliono raccontare in modo autentico delle storie sulla condizione umana, e credo che questo fosse anche l’ethos del lavoro di Henri Cartier-Bressons. Condividiamo la stessa convinzione sui fondamenti del reportage e realizziamo im-magini da una prospettiva umanistica.

Barbara Davidson

Quale tra le fotografie di Joel Meyerowitz selezionate le piace di più? Potrebbe descriverla brevemente?

Amo la fotografia di Joel in cui la coppia che passeggia sottobraccio per la strada passa attraverso il vapore che sale davanti a loro. Lui sa organizzare il caos in modo magistrale, cogliendo il momento esatto in cui la luce e le ombre giocano insieme. È una scoperta brillante.

Come è stato il suo approccio al progetto? Le è venuta subito in mente un’idea o ha avuto bisogno di tempo?

Quando ho visto gli scatti di Joel selezionati dalla sua iconica serie di fotografia di strada degli anni sessanta e settanta, ho pensato subito che sarebbe stata un’idea intelligente accostarvi le mie foto scattate dal 2020, per mostrare la vita americana “ai giorni nostri”.

© Joel Meyerowitz, Paris, France, 1967

People at a metro station in Paris in the 70s

Principalmente dagli eventi di attualità, dalla condizione umana, dalle ingiustizie socia-li e dai punti in cui questi temi si intersecano.

Barbara Davidson

Di cosa trattano le sue immagini e le sue serie?

Per questa collaborazione il mio lavoro mostra il panorama americano attuale, fotografato attraverso il prisma dell’ingiustizia sociale. Vado alla ricerca dei modi complessi in cui fattori quali l’ingiustizia, la responsabilizzazione o la speranza si connettono e si disconnettono nel panorama culturale del nostro presente. Le mie fotografie vogliono mostrare l’evoluzione e l’involuzione del panorama americano dagli anni sessanta e settanta, l’epoca d’oro della fotografia di strada, e come a cinquant’anni di distanza le persone convivono in un’America radicalmente diversa, ma sorprendentemente costante.

Quale fotocamera ha utilizzato e perché?

Uso la Q3. È veloce e discreta, la combinazione perfetta per il tipo di immagini intime che voglio realizzare.

Woman lies smoking in the garden on an air mattress and shoots videos with a mobile phone on a tripod.

Come è cambiata la fotografia nel corso degli ultimi decenni?

Non credo che il modo in cui gli uomini “vedono” cambi nel tempo. La visione personale certo si è evoluta, ma il modo in cui i fotografi creano le immagini è cambiato radicalmente. L’opera di Joel è stata realizzata con una macchina fotografica a rullino, io utilizzo una fotocamera digitale. Mentre la pellicola è dotata di un’estetica naturale intrinseca, la fotografia digitale rimane più sterile; ma il fotografo può modificare l’aspetto di una foto con Photoshop o Lightroom per far sì che corrisponda a ciò che aveva in mente, sempre che la sua etica fotogiornalistica non lo trattenga. Il processo stesso del fotografare, e il lavoro di post-produzione, si è evoluto ed è cambiato molto nel corso dei decenni.

Quali opportunità e quali sfide vede per il futuro della fotografia?

Lavoro come fotoreporter da 25 anni e nel corso del tempo ho assistito a grandi cambiamenti in questo settore. Il più rilevante è stato il salto dall’analogico al digitale e ha interessato anche la modalità con cui le fotografie vengono trasmesse alle redazioni. La cosa più importante per me è sempre stata quella di conservare una mentalità aperta e adattarsi alle nuove tecnologie. Il mio processo creativo quindi è fluido. Un giorno uso una fotocamera a rullino 8×10 e il giorno successivo una Leica digitale. Cosa vedo nel futuro della fotografia? È difficile a dirsi, ma qualunque cosa sarà, la accetterò. Il mio impulso creativo è così profondamente radicato dentro me stessa che sicuramente mi adatterò.

Quale ruolo svolgono le gallerie nell’epoca dei media digitali, in special modo per il suo lavoro?

Le gallerie e i musei sono spazi creativi sacri, specialmente nell’era digitale. È importante staccarsi da smartphone e computer e prendersi del tempo per perdersi nelle opere d’arte esposte nei musei e nelle gallerie. Il mio lavoro esiste principalmente in uno spazio digitale, per questo sono davvero contenta di vederlo esposto nella galleria Leica di Los Angeles per le celebrazioni del centenario di Leica, e mi fa piacere che le persone si prendano del tempo per ammirare appieno la profondità dei miei scatti, invece di scorrere le immagini su Instagram.

Portrait of Barbara Davidson

Barbara Davidson

Nel corso della sua carriera, la fotogiornalista ha puntato l’obiettivo su persone che, in territori di conflitto o in zone colpite da catastrofi naturali, cercano di conservare la loro dignità. Si è concentrata soprattutto su donne e bambini intrappolati nella cultura americana della violenza armata. Ha perfezionato il suo approccio alla narrazione raccontando per oltre un ventennio per il Los Angeles Times, il Dallas Morning News e il Washington Times storie di guerre, crisi umanitarie e condizioni umane in 58 paesi. Fotoreporter insignita del premio Pulitzer e del premio Emmy, Davidson è stata nominata due volte fotografa dell’anno nell’ambito del programma Pictures of the Year international (POYi). Nel 2020 ha ricevuto una borsa di studio Guggenheim e viaggiato in lungo e in largo negli Stati Uniti per realizzare con una tradizionale macchina a rullino 8×10 ritratti di sopravvissuti a ferite da arma da fuoco. Figlia di immigrati irlandesi, Barbara Davidson è nata a Montreal, in Canada, e oggi vive a Los Angeles.