“Il segno”, così come lo intende la Semiotica, “è qualcosa che sta per qualcos’altro, a qualcuno in qualche modo”. Ragion per cui i lavori di Tarin appaiono come un sistema complesso di segnali che, all’osservatore accorto, riescono a rivelare un prezioso ventaglio contenutistico. Le sue figure femminili, ti osservano e si lasciano osservare; le immagini erotiche, che costituiscono una delle cifre stilistiche dell’autrice, sono circonfuse da una aura culturale particolare, cui non sono estranei un senso di riflessiva solitudine e una lieve atmosfera snob.

All’interno di ogni fotogramma non si riscontra la fascinazione del momento decisivo poiché Tarin trasforma un teorico punto di debolezza in potenza espressiva sapendo penetrare con discrezione nelle sfere più intime degli altri. In ogni suo scatto si percepisce la consapevolezza del gesto, si coglie l’emozione, l’eleganza della seduzione. Ed è mettendo in gioco i suoi sentimenti che Tarin costruisce un racconto abile a mutare in un abbraccio ricco di simbologie, un preciso affresco dello charme, capace di regalare all’osservatore occasioni di riflessione mai banali e la gioia di essere di fronte alla bellezza.

I nuovi lavori di Tarin, presentati alla Leica Galerie di Milano sottolineano due particolari novità nell’immaginario dell’artista: spaziano dai suoi classici ritratti ad intensi still life, in cui i soggetti dialogano con gli ambienti, con il mondo degli oggetti, del design, dei libri; ma non solo, Tarin viaggia con disinvoltura, e con la consueta qualità, dal suo classico e impeccabile bianco e nero analogico ad un altrettanto inappuntabile uso del colore, sempre analogico.

[Denis Curti]